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PRIME RIFLESSIONI SULLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 27/2022 CON RIFERIMENTO ALLA COLLOCAZIONE ORDINAMENTALE DEL GIUDICE TRIBUTARIO (di Ennio Attilio Sepe)

PRIME RIFLESSIONI SULLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 27/2022 CON RIFERIMENTO ALLA COLLOCAZIONE ORDINAMENTALE DEL GIUDICE TRIBUTARIO

         di Ennio Attilio Sepe

 

La Corte costituzionale ha esaminato la questione della legittimità costituzionale sull’applicazione del “tetto retributivo”previsto dall’art. 23-ter. d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sollevata, in riferimento a numerosi articoli della Costituzione, dal Consiglio di Stato, in sede di appello,  a seguito del rigetto del ricorso da parte del TAR Lazio avanti il il quale il ricorrente, magistrato amministrativo, aveva impugnato il provvedimento del Segretario generale della Giustizia amministrativa che aveva disposto il recupero dei maggiori compensi percepiti per le funzioni esercitate quale giudice tributario.

La Consulta, con sentenza n. 27, depositata il 28 gennaio 2022, ha dichiarato  non fondata la questione, confermando la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto che  “la formulazione onnicomprensiva della norma non consente, ameno ictu oculi, di escludere dal…computo (del “tetto”) i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni tributarie”, pur non apparendo gli stessi qualificabili alla stregua di emolumenti derivanti da “rapporti di lavoro subordinato o autonomo”, perché afferenti a funzioni la cui investitura è a titolo onorario.

Si richiamano, in pillole, quelle che sono le parti della motivazione di maggiore interesse  per i giudici tributari in relazione ad alcuni aspetti della loro  collocazione istituzionale.

Nel condividere pienamente che le funzioni esercitate dai giudici tributari sono di natura onoraria, poiché il servizio da essi prestato non ricade nell’ambito di un’attività professionale svolta in via esclusiva, la Corte ha affermato che i compensi dei componenti delle Commissioni tributarie non sono assimilabili ad una vera e propria retribuzione, ma consistono in semplici emolumenti, la cui disciplina esula dall’art. 108 Cost.e la loro misura non è idonea ad incidere sull’indipendenza del giudice. Inoltre ha precisato che le posizioni dei magistrati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giurisdizionali e quelle dei componenti delle Commissioni tributarie che esercitano funzioni onorarie, ai fini della valutazione del rispetto del principio di uguaglianza, non sono fra loro raffrontabili. Infatti, il compenso per i secondi è previsto per un’attività non esercitata professionalmente, bensì, per lo più, in aggiunta ad altre attività svolte in via primaria e, quindi, non si impone che agli stessi venga riconosciuto il medesimo trattamento economico di cui beneficiano i primi.

Pertanto ha reputato del tutto ragionevole la lettura dell’art. 23-ter del d.l. n. 201 72011, come convertito, resa dal Consiglio di Stato, secondo il quale il campo applicativo del limite retributivo massimo sembra riferito a tutti gli emolumenti  posti a carico delle finanze pubbliche (“chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumento o retribuzioni”), allorché si tratti di soggetti vincolati da un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali. Sicché,una volta instaurato un tale rapporto di lavoro, concorre ad incidere sulla soglia indicata qualunque ulteriore retribuzione o emolumento percepiti che siano a carico dello Stato, benché essi non siano inquadrabili in altro rapporto di lavoro dipendente o autonomo.

Rimane tuttavia impregiudicata la questione se le funzioni del giudice tributario, definite di natura onoraria dalla Consulta, possano invece essere assimilate ad un rapporto di lavoro subordinato alla luce dei criteri stabiliti dalla sentenza della Corte di Giustizia 16 luglio 2020, causa C-658/18, per i giudice di pace.

Per altro verso, la Corte, nell’escludere la possibilità di applicazione analogica della disposizione che fa salvi “i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza”, (art. 1, comma 489, l. n. 147/2013), data la “particolarità” della norma,  afferma anche che deve escludersi che la nomina  a giudice tributario possa essere equiparata all’attribuzione di un incarico di natura temporanea, posto che l’art. 11, comma 2, d.lgs. n.545/1992, prevede la cessazione dall’incarico al 75° anno. E questa – va rimarcato – rappresenta una peculiarità rispetto agli altri incarichi giudiziari onorari del nostro ordinamento, connotati  dalla temporaneità dell’incarico.

Altro punto interessante è la risposta che la Consulta dà al dubbio sollevato dal Consiglio di Stato circa la compatibilità della disposizione censurata con l’art. 36 Cost., in quanto la sostanziale gratuità delle funzioni di giudice tributario, allorché la remunerazione spettante per il rapporto di pubblico impiego raggiunga la soglia massima consentita, lederebbe il principio generale della giusta retribuzione del lavoro.  Ebbene,  la Corte non contesta l’applicazione di tale principio all’incarico del giudice tributario per la natura onoraria di esso, ma si limita ad affermare che la soglia stabilita in tema di trattamento economico dei dipendenti è riferita, non già alle singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso, avuto riguardo al principio di onnicomprensività della retribuzione medesima.

Conclude, la Consulta, ribadendo che la commisurazione del “tetto” alla retribuzione del primo presidente della Corte di cassazione attua un contemperamento non irragionevole dei principi costituzionali e non sacrifica in maniera indebita il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità  e qualità del lavoro svolto.

 

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