logo home

La Corte Costituzionale, sentenza n. 158 del 2020

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 158, depositata il 21 luglio 2020, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del d.P.R. n. 131/1986, come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a), l. n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1084, l. 145/2019, affermando che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, è da escludere che i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, sono i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri.

Pertanto – evidenzia la Consulta –  il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di ”imposta di atto”  dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi  extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico.

Non varrebbe obiettare che la normativa di cui si discute escludendo  (“ salvo quanto disposto dagli articoli successivi” dello stesso testo unico) la rilevanza interpretativa  sia di elementi  extratestuali, sia del collegamento negoziale, potrebbe favorire l’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali sottraendo all’imposizione fiscale, in violazione dei parametri costituzionali, “l’effettiva ricchezza imponibile”, in quanto tale sottrazione potrebbe rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto.

Con tale pronuncia il Giudice delle leggi legittima costituzionalmente quell’orientamento minoritario della S.C- che esclude che l’art. 20 del d-P-R- n. 131/1986 abbia una specifica funzione antielusiva, affermando –  in difformità dall’orientamento prevalente – che la  riqualificazione “non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici “ (Cass. 2054/2017; 722/2019; 6790/2020).