IL ”DECRETO RILANCIO ” E LA DIGITALIZZAZIONE DEL PROCESSO TRIBUTARIO
(di Francesco Trivieri)
- Introduzione.
Tra le misure contenute nel D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (“Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economica, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”; c.d. “Decreto Rilancio”), ve n’è una che riveste particolare interesse in materia di giustizia tributaria.
Si tratta del secondo comma dell’art. 135, con il quale il nostro ordinamento, spronato dalla necessità di approntare misure urgenti per rispondere all’emergenza epidemiologica, ha compiuto un ulteriore e decisivo passo in avanti verso la digitalizzazione del processo tributario.
In questa stessa direzione si era mosso, del resto, già l’art. 29, comma 1, del D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020 (“Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”; c.d. “Decreto Liquidità”), rendendo obbligatorio per il deposito degli atti processuali l’utilizzo del canale telematico, indipendentemente dalla data di notifica del ricorso in primo grado o dell’appello, e dunque anche laddove il giudizio fosse stato ritualmente instaurato, prima del 1° luglio 2019, data in cui il c.d. “processo tributario telematico” è divenuto obbligatorio, con modalità cartacee.
Un’ulteriore spinta è stata impressa dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, l’organo di “autogoverno” della magistratura tributaria, il quale, con delibera n. 433, adottata nella seduta del 22 aprile 2020, ha approvato – sulla base, tra l’altro, dell’art. 16 del Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze n. 163 del 23 dicembre 2013, nonché dell’art. 83 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (“Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”; c.d. “Decreto ‘Cura Italia’”), le cui disposizioni, “applicabili … in quanto compatibili, ai procedimenti relativi alle Commissioni tributarie”, indirizzano “esplicitamente alla adozione di ogni tipologia di modalità telematica di veicolazione e notifica degli atti processuali” – le linee guida per il deposito da remoto dei provvedimenti giurisdizionali.
Si tratta, peraltro, di una “modalità alternativa telematica per consentire il deposito delle sentenze, da utilizzare durante il periodo di emergenza epidemiologica”, in attesa che quella “ordinaria” entri a regime, previa approvazione, ai sensi dell’art. 3 del D.M. n. 163/2013, dei decreti direttoriali, recanti le “regole tecniche ai fini della redazione e sottoscrizione del provvedimento giurisdizionale digitale (PGD), concernente la gestione “da remoto” delle sentenze e dei decreti presidenziali dei componenti delle Commissioni Tributarie” (cit. delibera n. 433 del 22 aprile 2020).
Adesso, con il provvedimento in rassegna, il Legislatore d’urgenza, raccogliendo l’invito formulato dal Comitato di Presidenza della Giustizia tributaria, con delibera del 15 aprile 2020, e recependo le preoccupazioni espresse, all’indomani dell’approvazione del D.L. n. 28 del 30 aprile 2020 (“Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19”) – dall’Associazione Magistrati Tributari, ha provveduto a razionalizzare la disciplina della partecipazione a distanza alle udienze, gettando le opportune basi normative per favorire, possibilmente già in questa fase emergenziale, i collegamenti da remoto nel processo tributario.
- La partecipazione da remoto all’udienza pubblica, nel regime “ordinario” di cui al D.L. n. 119/2018.
Per meglio comprendere il significato e la portata delle nuove disposizioni, occorre guardare nuovamente al passato, prendendo le mosse dall’art. 16 del D.L. n. 119 del 23 ottobre 2018, convertito con modificazioni dalla Legge n. 136 del 17 dicembre 2018, il quale, al comma 4, ha introdotto la possibilità della partecipazione a distanza delle (sole) parti all’udienza pubblica di cui all’articolo 34 del D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992 (“Disposizioni sul processo tributario”), previa “apposita richiesta formulata da almeno una delle parti nel ricorso o nel primo atto difensivo”, e “mediante un collegamento audivisivo tra l’aula di udienza e il luogo del domicilio indicato dal contribuente, dal difensore, dall’ufficio impositore o dai soggetti della riscossione con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto viene detto”. Con l’ulteriore precisazione che “il luogo dove la parte processuale si collega in audivisione è equiparato all’aula di udienza”.
Come chiarito dalla citata norma, peraltro, la concreta entrata in funzione della c.d. “videoudienza” è stata condizionata all’emanazione dei provvedimenti attuativi del Direttore Generale delle Finanze, sentito il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria e l’Agenzia per l’Italia Digitale, recanti le “regole tecnico-operative per consentire la partecipazione all’udienza a distanza, la conservazione della visione delle relative immagini, e le Commissioni tributarie presso le quali attivare l’udienza pubblica a distanza”.
Sennonché, nessun provvedimento risulta essere mai intervenuto in materia.
- La trattazione “a distanza” nel regime “emergenziale” di cui al D.L. n. 18/2020 e successive modificazioni.
Successivamente, al dichiarato fine di “contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, l’art. 83, comma 7, lett. f), del D.L. n. 18/2020 ha previsto – tra le altre misure destinate ad operare durante la c.d. “Fase 2”, per il momento individuata nel periodo compreso tra il 12 maggio 2020 e il 31 luglio 2020 – lo svolgimento delle “udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti” mediante “collegamenti da remoto”, e purché lo svolgimento dell’udienza avvenga con modalità tali da garantire “il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti”.
La Legge n. 27 del 24 aprile 2020, inoltre, nel convertire il menzionato Decreto “Cura Italia”, ha inserito nell’art. 83 cit. un nuovo comma 12-quinquies, a mente del quale, “dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto”.
In entrambi i casi, peraltro, l’individuazione e la disciplina dei “collegamenti da remoto” è stata rimessa ad un “provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia”, poi adottato in data 20 marzo 2020.
Nonostante l’espresso riferimento alle sole “udienze civili”, l’applicabilità di tali previsioni al processo tributario è stata, anche autorevolmente, sostenuta, in virtù del richiamo al comma 21 dell’art. 83 cit., secondo cui “le disposizioni del presente articolo, in quanto compatibili, si applicano altresì ai procedimenti relativi alle commissioni tributarie”, nonché della espressa previsione dell’udienza pubblica c.d. “a distanza”, già contenuta nel rammentato art. 16, comma 4, del D.L. n. 119/2018.
In tal senso, si veda la delibera del 15 aprile 2020 del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, che, al precipuo fine di “evitare ogni possibile forma di contatto onde limitare la possibilità di contagio”, ha raccomandato ai dirigenti degli uffici giudiziari, e dunque ai Primi Presidenti delle Commissioni tributarie, “di promuovere lo svolgimento delle udienze mediante collegamenti da remoto, ai sensi del comma 7, lett. f), dell’art. 83 cit.: fino all’11.5.2020, ovvero nel periodo della sospensione dei termini, per la trattazione dei ricorsi dichiarati urgenti che non possono essere differiti (perché la ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti, ai sensi dell’art. 83, comma 3, del D.L. n. 18/2020); dal 12 maggio 2020 e fino al 31 luglio 2020 anche per la trattazione ordinaria dei ricorsi che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti”.
È stato, tuttavia, escluso che le disposizioni attuative previste per le altre giurisdizioni, ed in particolare le modalità operative dettate con il menzionato Provvedimento direttoriale del 20 marzo 2020, siano immediatamente riferibili anche al processo tributario.
Al riguardo, in particolare, si segnala la Circolare diffusa in data 24 marzo 2020 dall’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi, ove si legge, del tutto condivisibilmente, che “l’estraneità delle Commissioni tributarie all’organizzazione del Ministero di Giustizia alimenta dubbi sull’utilizzabilità” del richiamato Provvedimento del 20 marzo 2020 “da parte delle Commissioni tributarie, anche in relazione all’indisponibilità dei … programmi” ivi indicati (“Skype for Business” e “Teams”) “nel plesso giurisdizionale facente capo al MEF, che come noto organizza l’attività della Giustizia tributaria”.
Proprio alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, con la ricordata delibera del 15 aprile 2020, ha, in ogni caso, subordinato la celebrazione da remoto delle udienze all’impiego degli applicativi che saranno “messi a disposizione dal Ministero dell’economia e finanze”, con un “decreto in corso di emanazione, sentito questo Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria”.
Accanto a tale impedimento di carattere tecnico, peraltro, si è aggiunto un ulteriore fattore di complicazione.
L’art. 3, comma 1, lett. c), del D.L. n. 28/2020, infatti – modificando l’art. 83, comma 7, lett. f), del Decreto c.d. “Cura Italia”, e discriminando, senza plausibili giustificazioni, tra giudici civili e amministrativi, per i quali l’art. 4 del medesimo D.L. n. 28/2020 non contiene analoga limitazione – ha stabilito che lo svolgimento delle “udienze civili” a distanza debba “in ogni caso avvenire con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario”.
Ebbene, nel rito tributario, dove il Giudice è costituito da un collegio composto di tre membri, la necessità della sua presenza in aula comporta diverse problematiche.
Anzitutto, perché non tutte le Commissioni tributarie dispongono di ambienti capaci di consentire la doverosa distanza di sicurezza tra i magistrati ed il personale amministrativo.
Inoltre, perché non sempre le sedi sono dotate della concreta possibilità di attivare i collegamenti da remoto, e dunque di assicurare che la c.d. “videoudienza” si svolga con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti.
Infine, perché senza un preventivo “via libera” dell’autorità sanitaria regionale, da interpellare su iniziativa dei capi degli uffici giudiziari, ai sensi dell’art. 83, comma 6, del D.L. n. 18/2020, le Commissioni tributarie devono restare chiuse e, allo stato, solo alcuni Presidenti di Commissione hanno avviato l’interlocuzione richiesta dalla norma, al fine di garantire e verificare il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della Salute.
D’altro canto, come opportunamente ricordato dal Primo Presidente della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, nel Decreto del 30 aprile 2020, “la ‘trattazione cartolare coatta’ potrebbe porsi in contrasto con i principi costituzionali del giusto processo (in questo senso C.d.S. ord. 21.4.2020 n. 2538)”.
Cosicché, rebus sic stantibus, le parti che non intendono rinunciare a partecipare alla trattazione in pubblica udienza, ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. n. 546/1992, si vedono necessariamente rinviare il processo.
Con il conseguente rischio di una paralisi della giustizia tributaria.
- La riforma di cui all’art. 135, comma 2, del Decreto Rilancio.
Nel tentativo di porre fine all’impasse, l’art. 135, comma 2, del D.L. n. 34/2020 ha sostituito il comma 4 dell’art. 16 del D.L. n. 119/2018 con il seguente: “La partecipazione alle udienze di cui agli articoli 33 e 34 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, può avvenire a distanza mediante collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo del collegamento da remoto del contribuente, del difensore, dell’ufficio impositore e dei soggetti della riscossione, nonché dei giudici tributari e del personale amministrativo delle Commissioni tributarie, tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e di udire quanto viene detto. Il luogo dove avviene il collegamento da remoto è equiparato all’aula di udienza. La partecipazione da remoto all’udienza di cui all’articolo 34 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, può essere richiesta dalle parti processuali nel ricorso o nel primo atto difensivo ovvero con apposita istanza da depositare in segreteria e notificata alle parti costituite prima della comunicazione dell’avviso di cui all’articolo 31, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Con uno o più provvedimenti del Direttore Generale delle Finanze, sentito il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, il Garante per la protezione dei dati personali e l’Agenzia per l’Italia Digitale, sono individuate le regole tecnico operative per consentire la partecipazione all’udienza a distanza e le Commissioni tributarie presso cui è possibile attivarla. I giudici, sulla base dei criteri individuati dai Presidenti delle Commissioni tributarie, individuano le controversie per le quali l’ufficio di segreteria è autorizzato a comunicare alle parti lo svolgimento dell’udienza a distanza”.
Si consente, dunque, anche ai giudici e al personale amministrativo delle Commissioni tributarie la partecipazione da remoto alle udienze, laddove – come si è visto – tale facoltà era in precedenza concessa soltanto alle parti processuali in senso stretto.
Ad una prima lettura, la disposizione in commento parrebbe suscitare alcune incertezze interpretative quanto alla individuazione dei soggetti abilitati a promuovere lo svolgimento dell’udienza “a distanza”.
Tuttavia, va senz’altro esclusa la possibilità di disporre il collegamento da remoto su iniziativa della Commissione avanti cui pende il giudizio. Ed in questo emerge la differenza principale rispetto alla disciplina “emergenziale”, di cui all’art. 83, comma 7, lett. f), del D.L. n. 18/2020, in cui l’attivazione dell’udienza da remoto è rimessa all’impulso del capo dell’ufficio giudiziario.
L’effettivo svolgimento della c.d. “videoudienza”, sollecitato unicamente su istanza di parte, resta, comunque, subordinato alla effettiva disponibilità delle risorse e dei mezzi tecnici necessari per rendere possibile il collegamento da remoto, da valutarsi caso per caso.
In tal senso deve intendersi l’art. 135, comma 2, cit., laddove prevede che “i giudici, sulla base dei criteri individuati dai Presidenti delle Commissioni tributarie, individuano le controversie per le quali l’ufficio di segreteria è autorizzato a comunicare alle parti lo svolgimento dell’udienza a distanza”.
In alternativa, e proprio in considerazione di tale ultimo periodo, si potrebbe sostenere che, accanto al diritto potestativo delle parti di ottenere lo svolgimento dell’udienza “a distanza”, a fronte del cui esercizio sarebbe illegittima qualunque contraria determinazione da parte del Collegio giudicante, quest’ultimo abbia la possibilità di individuare, sulla base dei criteri indicati dai Presidenti delle Commissioni tributarie, ulteriori controversie da celebrare mediante collegamenti da remoto, previa comunicazione alle parti per il tramite delle rispettive segreterie.
Ad avviso di chi scrive, appare preferibile la prima ricostruzione, peraltro confortata dalla Relazione Illustrativa, secondo cui “soltanto le parti possono richiedere l’udienza a distanza nel ricorso o nel primo atto difensivo ovvero con un atto successivo da notificarsi alle controparti”.
Depone in tal senso, oltre che il tenore del dettato normativo, la garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.), il quale patirebbe un inaccettabile sacrificio qualora la scelta della c.d. “videoudienza”, in luogo della trattazione in praesentia, fosse rimessa all’iniziativa unilaterale del Giudice, in assenza di qualunque richiesta in tal senso avanzata dalla parte.
Proseguendo nell’esame della nuova disposizione, si osserva che la possibilità del collegamento da remoto è stata condivisibilmente estesa anche alle udienze in camera di consiglio, ex art. 33 del D.Lgs. n. 546/1992, le quali nel processo tributario costituiscono, salva l’istanza di parte di discussione in pubblica udienza, la modalità “ordinaria” di trattazione nel merito dei ricorsi.
Pur nel silenzio della nuova disposizione sul punto, la videoconferenza deve ammettersi anche nel processo cautelare, disciplinato dagli artt. 47, 52 e 62-bis del D.Lgs. n. 546/1992, e nel giudizio di ottemperanza, di cui all’art. 70 del D.Lgs. n. 546 cit., dal momento che anche in questi casi la trattazione avviene secondo le modalità previste per le camere di consiglio, ex art. 33 cit., salvo consentire la partecipazione dei (soli) difensori, ovvero delle parti, quando stanno in giudizio personalmente.
Occorre, inoltre, domandarsi se l’attuale formulazione dell’art. 135, comma 2, del Decreto Rilancio si concili con la previsione di cui all’art. 128 cod. proc. civ., applicabile al rito tributario in virtù del rinvio operato dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 alle norme del rito civile, in quanto “compatibili”.
Vi si dispone che “l’udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità”, potendo svolgersi “a porte chiuse” soltanto laddove ricorrano “ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume”.
A ben vedere, la garanzia della pubblicità, per la parte che intenda assistere alla trattazione della causa, nonché per qualunque terzo eventualmente interessato, non può essere rispettata laddove il collegamento da remoto – come attualmente previsto – riguardi esclusivamente i procuratori costituiti, i componenti del Collegio giudicante e il personale amministrativo.
Donde l’opportunità, in sede di conversione, di emendare la disposizione in commento, prevedendo espressamente la possibilità per chiunque vi abbia interesse di accedere all’udienza c.d. “a distanza”.
Del resto, un’eventuale deroga al menzionato art. 128 cod. proc. civ. striderebbe con l’art. 101 Cost., da cui si ritrae l’esigenza di assicurare il controllo popolare sull’attività giurisdizionale.
Né, a ben vedere, una deroga siffatta appare necessaria, in quanto le odierne tecnologie sono senz’altro in grado di consentire la più ampia condivisione di video in diretta.
Un ultimo aspetto da chiarire è se il regime “ordinario” della c.d. “videoudienza”, come modificato dal c.d. “Decreto Rilancio”, vada ad affiancarsi oppure a sostituirsi a quello “emergenziale”, introdotto per le “udienze civili” dall’art. 83, comma 7, lett. f), del D.L. n. 83/2020 e fino ad oggi ritenuto applicabile – sia pure astrattamente, in difetto delle necessarie disposizioni regolamentari – al processo tributario, in quanto “compatibile” (cfr. art. 83, comma 21, del D.L. n. 18/2020).
Il contesto in cui le nuove disposizioni sono intervenute, quello cioè di “misure urgenti … connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, e il rapporto di specialità in cui si collocano rispetto a quelle precedentemente introdotte dal c.d. Decreto “Cura Italia”, soprattutto laddove si estende anche ai giudici la possibilità di collegarsi da remoto, inducono a optare per la seconda soluzione.
Resta inteso che, affinché la c.d. “videoudienza” possa concretamente svolgersi, occorre attendere i provvedimenti attuativi del Direttore Generale delle Finanze, recanti le regole tecnico operative e l’individuazione delle Commissioni tributarie presso cui sarà possibile attivare i collegamenti da remoto.
- La garanzia della trattazione in pubblica udienza, alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato, della Corte EDU e della Corte Costituzionale.
L’adozione di tali regole appare quanto mai opportuna, soprattutto in questa fase emergenziale, in quanto consentirebbe, da un lato, di evitare gli effetti negativi che il massivo differimento delle attività processuali potrebbe dispiegare sulla tutela dei diritti e sull’amministrazione della giustizia e, dall’altro lato, di porre un argine ad una pericolosa deriva, già censurata dal Consiglio di Stato, Sezione VI, con l’ordinanza n. 2538 del 21 aprile 2020, di cui si è detto in precedenza.
Tale pronuncia, invero, si riferisce al processo amministrativo, come regolato – durante l’emergenza – dall’art. 84, comma 5, del D.L. n. 83/2020.
Nondimeno, essa offre una lettura dei principi del giusto processo e del diritto di difesa (artt. 111 e 24 Cost.) senz’altro rilevante anche in materia di giustizia tributaria, mentre meno immediata appare – alla luce dell’indirizzo invalso nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – l’applicabilità al rito tributario, che non ha ad oggetto “diritti e doveri di carattere civile” o “accuse penali”, delle norme convenzionali, pure richiamate dal Consiglio di Stato, e segnatamente dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Più nello specifico, il Consiglio di Stato ha accolto l’istanza di rinvio proposta dalla parte appellante “al fine della discussione orale della controversia, tenuto conto dei suoi aspetti di particolare complessità e delicatezza”, alla quale si era opposta la parte appellata, “sul rilievo che l’interesse alla discussione orale, invocato dalla controparte, non sarebbe stato oggetto di previsione legislativa per la fase emergenziale a partire dal 15 aprile 2020, durante la quale il regime processuale prevedrebbe il passaggio in decisione delle cause esclusivamente sulla base degli atti, con l’unica eccezione della rimessione in termini per il deposito di memorie e repliche”.
Il Collegio, pur ritenendo che “il processo amministrativo, a differenza del processo penale, non è improntato al principio di oralità delle dichiarazioni e del contraddittorio in senso ‘forte’ (ovvero, sia nella formazione della prova, sia come diritto dell’accusato di confrontarsi “de visu” con l’accusatore), ben potendo il confronto tra i litiganti e con il giudice avvenire in forma meramente cartolare e le parti decidere di neppure comparire in udienza”, ha, tuttavia, affermato che “il contraddittorio cartolare «coatto» ‒ cioè non frutto di una libera opzione difensiva, bensì imposto anche contro la volontà delle parti che invece preferiscano differire la causa a data successiva al termine della fase emergenziale, pur di potersi confrontare direttamente con il proprio giudice ‒ non appare una soluzione ermeneutica compatibile con i canoni della interpretazione conforme a Costituzione, che il giudice comune ha sempre l’onere di esperire con riguardo alla disposizione di cui deve fare applicazione”. Secondo l’ordinanza in commento, “il contraddittorio cartolare «coatto» costituirebbe una deviazione irragionevole rispetto allo ‘statuto’ di rango costituzionale che si esprime nei principi del «giusto processo»”, di cui agli artt. 111, comma 2, il quale “impone, non solo un procedimento nel quale tutti i soggetti potenzialmente incisi dalla funzione giurisdizionale devono esserne necessariamente ‘parti’, ma anche che queste ultime abbiamo la possibilità concreta di esporre puntualmente (e, ove lo ritengano, anche oralmente) le loro ragioni, rispondendo e contestando quelle degli altri”, e 24 della Costituzione, che, “comprendendo oltre al diritto di accesso al giudizio, anche il diritto di ottenere dal giudice una tutela adeguata ed effettiva della situazione sostanziale azionata – non può che contenere anche la garanzia procedurale dell’interlocuzione diretta con il giudice”. Inoltre, il contraddittorio cartolare coatto si porrebbe in contrasto con l’art. 6 CEDU sotto un duplice aspetto: come “ostacolo significativo per il ricorrente che voglia provocare la revisione in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione resa dall’autorità amministrativa”, nonché rispetto al “principio della pubblicità dell’udienza”, come delineato nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ex plurimis, sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia e sentenza 26 luglio 2011, Paleari contro Italia), oltre che della Corte Costituzionale, che ammette compressioni alla “pubblicità del giudizio” soltanto “in presenza di particolari ragioni giustificative, purché, tuttavia, obiettive e razionali (sentenze n. 212 del 1986 e n. 12 del 1971)”.
Alla luce di tali considerazioni, e considerato che “l’imposizione dell’assenza forzata, non solo del pubblico, ma anche dei difensori, finirebbe per connotare il rito emergenziale in termini di giustizia ‘segreta’, refrattaria ad ogni forma di controllo pubblico”, il Collegio, accedendo ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 84, comma 5, del D.Lgs. n. 18/2020, ha ritenuto che “un rinvio della causa in un arco temporale che non superi l’anno in corso (tenuto conto della durata del rito cartolare fino a fine giugno, della sospensione feriale dei termini e del carico delle udienze già aggravato dall’emergenza pandemica da COVID-19) può costituire un giusto contemperamento delle posizioni delle parti ed evitare di ledere il diritto di difesa”.
- La garanzia dell’oralità dell’udienza nel processo tributario.
Le osservazioni svolte dal Consiglio di Stato, come anticipato, appaiono particolarmente pregnanti anche nella materia tributaria.
Infatti, sebbene anche il rito tributario, come il processo amministrativo, abbia natura prevalentemente documentale, la garanzia della trattazione in pubblica udienza appare imprescindibile.
In tal senso, e significativamente, nel vigore del previgente art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 636/1972, che escludeva l’applicabilità dell’art. 128 cod. proc. civ. nel processo tributario, con ciò vietando la pubblicità delle udienze davanti alle Commissioni tributarie, la Corte Costituzionale ebbe a rilevarne l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 101, primo comma, Cost., da cui discende la “regola generale della pubblicità dei dibattimenti giudiziari”, suscettibile di “eccezioni” solo con “riferimento a determinati procedimenti”, e sempre che ricorra un’“obiettiva e razionale giustificazione” (cit. Corte Cost., 16 febbraio 1989, n. 50).
Militano nella stessa direzione la tutela del diritto al contraddittorio e del giusto processo, ai sensi rispettivamente degli artt. 24 e 111, comma 2, Cost.
Tanto più ove si consideri la natura dell’oggetto della cognizione dei Giudici tributari, la cui complessità – specialmente quando la fase contenziosa non è preceduta dall’attivazione e dal rituale svolgimento di un contraddittorio preventivo con l’Amministrazione finanziaria – può emergere in termini compiuti soltanto a seguito della costituzione in giudizio dell’Ufficio e dello scambio di memorie difensive in vista della trattazione nel merito della causa, con la conseguente opportunità, ai fini della migliore individuazione del petitum e della causa petendi, del confronto orale tra le parti, a seguito della esposizione dei fatti e delle questioni controverse da parte del Giudice relatore (ex art. 34 del D.Lgs. n. 546/1992).
Inoltre, e in ogni caso, l’assenza nel rito tributario di una scansione processuale che consenta – attraverso la distinzione tra fase introduttiva, istruttoria e decisoria – la progressiva messa a fuoco delle questioni da trattare suggerisce, ai fini di una migliore difesa, di non rinunciare – per citare le parole del Consiglio di Stato – alla “garanzia procedurale dell’interlocuzione diretta con il giudice”.
Basti pensare a quante volte l’esigenza di disporre una consulenza tecnica d’ufficio, ovvero di esercitare un potere istruttorio, è avvertita dal Collegio giudicante soltanto in occasione della discussione in pubblica udienza.
Pertanto, e concludendo, non resta che accogliere con favore le novità contenute nel Decreto Rilancio e attendere che, dopo gli eventuali correttivi, e previa emanazione dei necessari provvedimenti attuativi del Direttore Generale delle Finanze, vengano finalmente rimossi gli ultimi ostacoli alla compiuta digitalizzazione del processo tributario. Ciò nella convinzione che la pubblicità delle udienze consentita dai mezzi telematici, anche in considerazione della loro sempre più crescente diffusione e accessibilità, costituisca, in un ordinamento democratico, la migliore garanzia di trasparenza di amministrazione della giustizia.