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IL CONTRADDITTORIO PREVENTIVO NEL DECRETO CRESCITA -D. L. N. 34/2019- (di Ennio Attilio Sepe)

IL CONTRADDITTORIO PREVENTIVO  NEL  DECRETO CRESCITA (D. L. N. 34/2019)

Ancora una volta è rimasta delusa l’aspettativa dell’affermazione del contraddittorio preventivo quale principio generale anche dell’ordinamento tributario.

Al di là della possibilità di far  discendere tale principio dal dettato costituzionale, richiamando tutta la evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale che, sulla base anche della normativa ordinaria, ha riconosciuto piena cittadinanza al principio del giusto procedimento (1),  del quale il contraddittorio costituisce il nucleo principale, lettera morta sono rimasti altresì i criteri direttivi contenuti nella legge-delega 11 marzo 2014, n. 23 (recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita), che espressamente prevedevano, ”in un quadro di reciproca e leale collaborazione” tra contribuente e amministrazione finanziaria, “specifiche regole procedimentali che garantissero un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardassero  il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario”.

Esaminando l’art. 4-octies del d. l. n. 34/2019, conv., con modificazioni, nella l. n. 58/2019, rubricato “Obbligo di invito al contraddittorio”, la portata della riforma appare ancora più ridotta rispetto a quella risultante nella stesura della proposta di legge n. 1074 presentata il 6 agosto 2018, in cui, all’art. 11 (Introduzione dell’obbligo di invito al contraddittorio endoprocedimentale), si stabiliva che prima di emettere qualunque avviso di accertamento nei riguardi dei contribuenti, fuori dei casi di accertamento parziale e di pericolo per la riscossione dell’imposta, l’ufficio procedente dell’Agenzia delle entrate, a  pena di nullità dell’atto impositivo, notificava un preventivo invito al contribuente, volto ad avviare un contraddittorio endoprocedimentale. Quindi l’istituto si presentava di applicazione generale per tutti i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, prospettandosi in Commissione Finanze, come sede naturale ove inserirlo, lo Statuto del contribuente, recante i principi generali dell’ordinamento tributario.

L’art. 4-octies, nell’introdurre nel d.lgs. n. 218/1997 l’art. 5-ter (Invito al contraddittorio), al primo comma, dispone che ” l’ufficio, fuori dei casi in cui sia stata  rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo , prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l’invito a comparire di cui all’art. 5 per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento”. Pertanto la norma è tecnicamente costruita come introduzione di un obbligo dell’amministrazione finanziaria di notificare al contribuente un invito all’adesione. Poiché tale nuovo articolo è inserito nel capo II del titolo I, dedicato alla definizione degli accertamenti nelle imposte dirette e nell’IVA, l’invito all’adesione deve precedere l’emissione di un accertamento generale soltanto in materia di imposte dirette e IVA , e anche di IRAP (in virtù dell’art. 25 del d.lgs. n. 446/1997). Con esclusione degli  altri tributi indiretti e dei tributi locali.

Si è, dunque, trattato, non di affermazione di un principio generale, ma di una semplice estensione dei casi di contraddittorio oggi espressamente previsti, come si evince, oltre che dalla sede della norma, dalla previsione del comma 6 dell’art. 5-ter  che mantiene ferme le disposizioni che già contemplano la partecipazione del contribuente al procedimento prima dell’emissione dell’avviso di accertamento. Fra queste è innanzi tutto prevista l’ipotesi in cui viene rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte egli organi di controllo, ai sensi dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente.

Altri casi di esclusione dall’applicazione dell’invito obbligatorio al contraddittorio sono gli avvisi di accertamento parziale (art. 41-bis del dPR n. 600/1973) e gli avvisi di rettifica parziale (art. 54 del dPR n. 633/1972).

Tali eccezioni appaiono un grave vulnus all’attuazione del contraddittorio preventivo, data la frequenza con la quale l’amministrazione finanziaria procede a tali atti di accertamento, tanto più che la giurisprudenza più recente della S.C. si colloca nell’ambito del filone giurisprudenziale che ritiene insussistente ogni motivo di distinzione fra “accertamenti parziali” e “accertamenti ordinari”, non risultando i primi effettuati soltanto in base a risultanze certe e dirette, ma anche in via presuntiva (2).

Ulteriori eccezioni sono costituite dalle ipotesi di particolare urgenza che, per costante giurisprudenza della S.C. non possono essere integrate dalla scadenza dei termini di accertamento (3), e da quelle in cui v’è fondato pericolo per la riscossione.

L’invito obbligatorio al contraddittorio si traduce per il contribuente nella possibilità di fornire chiarimenti e produrre documenti per far valere le proprie ragioni, in ordine ai quali l’atto impositivo deve addurre una specifica motivazione.

Si è in presenza dell’obbligo per l’ufficio procedente della c.d. “motivazione rafforzata”, che deve tener conto delle eccezioni sollevate dal destinatario del provvedimento, la  cui violazione è da ritenere comporti la nullità dell’avviso accertamento, sanzione che, pur non essendo espressamente prevista dalla legge, deriva dall’inadempimento da parte dell’ufficio dell’obbligo di valutare le osservazioni prodotte in fase amministrativa dal contribuente, le quali devono essere prese in considerazione ai fini della successiva emissione dell’atto accertativo. Così come è stato ritenuto per l’analogo caso previsto dall’art. 12, comma 7, dello Statuto, nel   quale la Cassazione, con ord. 17210/2018, ha confermato l’annullamento dell’atto accertativo, statuendo che lo stesso era illegittimo, per avere l’ufficio ”omesso un preciso adempimento fissato per legge, ossia di prendere visione delle memorie(4). Né il contribuente è tenuto ad alcuna dimostrazione, in virtù del principio della tassatività delle nullità.

Ove invece l’ufficio ometta di avviare il contraddittorio mediante l’invio dell’invito obbligatorio a comparire, l’inosservanza è sanzionata dalla invalidità dell’avviso di accertamento. Tuttavia tale sanzione scatta soltanto se il contribuente supera la “prova di resistenza”, “dimostrando in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato”.

Si tratta di una formula abbastanza generica e incerta, in relazione al grado di fondatezza delle ragioni che si possono utilmente rappresentare, con una prognosi postuma.

La clausola, com’è noto, è stata introdotta nel diritto tributario dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia che, nella sent. Kamino (5), prevede l’annullamento del provvedimento adottato soltanto se la  mancanza della violazione del diritto di essere sentito possa comportare “un risultato diverso”.

Ebbene, le stesse Sezioni Unite della Cassazione, in sentenza 24823/2015, hanno bollato detto criterio come “labile ed incerto”, ritenendo sufficiente che le ragioni che il contribuente possa far valere non si rivelino puramente “pretestuose”.

Sentenze successive della Corte di Giustizia si sono limitate ad affermare la sufficienza di ragioni tali da non escludere totalmente un risultato differente.

Sembra ragionevole ritenere che per invalidare l’atto accertativo per l’omessa attivazione del contraddittorio, le ragioni addotte dal contribuente non devono né raggiungere la certezza di un diverso risultato né apparire manifestamente infondate.

Tra i due estremi si pone una serie di valutazioni intermedie che legittimamente  possono giustificare la invalidità dell’atto accertativo, da valutarsi secondo il prudente apprezzamento del giudice.

Il decreto crescita ha modificato anche l’art. 5 del d.lgs. n. 218 /1997, aggiungendo il comma 3-bis che dispone a favore dell’amministrazione lo slittamento di 120 giorni  del termine di decadenza dell’accertamento  nel caso in cui la data di comparizione  indicata nell’invito cada nei 90 giorni anteriori allo stesso termine di decadenza dell’accertamento.  In un testo normativo nato nella prospettiva di rafforzare le garanzie del contribuente è stata introdotto innanzi tutto un trattamento di favore per l’amministrazione fiscale, statuendo un generale differimento dei termini di decadenza dell’azione accertatrice. In aperto contrasto con l’art. 3, comma 3, dello Statuto che fa espresso divieto di proroga dei termini di decadenza (e prescrizione) per gli accertamenti d’imposta.
L’ultima modifica apportata dal decreto crescita riguarda l’art. 6 del d.lgs. n. 218 che prevede a favore del contribuente nei cui confronti sia stato notificato l’avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall’invito a comparire, la possibilità di formulare anteriormente all’impugnazione dell’atto innanzi la commissione tributaria provinciale istanza di accertamento con adesione: tale possibilità è estesa anche all’ipotesi in cui l’ufficio abbia omesso di notificare l’invito obbligatorio prima dell’emissione dell’atto impositivo. Sicché il contribuente, in tal caso, può impugnare l’avviso, deducendone la nullità in difetto dell’invito preventivo, con la dimostrazione delle ragioni che avrebbe potuto far valere, oppure inoltrare istanza di accertamento con adesione, rinunciando a far valere l’invalidità dell’atto notificatogli e provocando la sospensione del termine d’impugnazione dell’atto, avverso il quale, nel caso di mancata adesione,  non potrà più far valere l’omesso invito preventivo, dovendosi ritenere sanata la irregolarità iniziale dell’ufficio, a seguito della proposta istanza.

L’applicazione delle nuove disposizioni è stata rinviata agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020.

  1. A. SEPE, Contraddittorio endoprocedimentale: le Sezioni Unite fanno un passo indietro sul “giusto procedimento tributario”, in il fisco 5/2016, 407;
  2.  La giurisprudenza è ormai orientata a ritenere che l’ampia formula con la quale l’art. 41 bis del d.P.R. n. 600/1973 disciplina le fattispecie che danno luogo ad accertamento parziale esclude, nella sostanza, una vera differenza fra i due tipi di accertamento. Per cui Cass. 2184/2015 afferma che l’accertamento parziale può essere emesso anche per contestare il maggior reddito in applicazione delle regole proprie dell’accertamento contabile-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), del suddetto decreto e prima ancora – più in generale – che l’accertamento parziale non è un metodo di accertamento “autonomo”; Cass.8406/2018 ribadisce che la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva;
  3. E’ costante la giurisprudenza della S. C. nel ritenere che la scadenza del termine decadenziale dell’azione accertatrice non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000: Cass. 8749/2018; 5149/2016; 22786/2015;
  4. Risulta poco coerente l’affermazione contenuta in sentenza che l’ufficio non sarebbe tenuto ad esplicitare, nell’atto impositivo, l’avvenuta valutazione delle osservazioni del contribuente. V’è da chiedersi come il contribuente, prima, ed il giudice adito, poi, possono avere contezza della effettiva disamina delle memorie prodotte;
  5. Corte di Giustizia 3 luglio 2014, C-129 e C-130, Kamino International Logistics;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

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