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IL GIUDICATO TRIBUTARIO IN TEMA DI ICI (di Annamaria Fasano)

IL GIUDICATO TRIBUTARIO IN TEMA DI ICI

Come è noto, la forma più compiuta di stabilizzazione del rapporto fiscale idonea ad assicurare la definitività dell’accertamento della pretesa è il giudicato. Tale certezza è raggiunta in esito ad un processo instaurato innanzi alla Commissione Tributaria, da cui consegue la formazione di una res iudicata, dalla quale discendono effetti che non possono essere più messi in discussione.

La res iudicata riceve copertura costituzionale in ragione dei principi di effettività della tutela giurisdizionale, ai sensi dell’art. 24 Cost, nonché ai sensi dell’art. 111 Cost., disposizioni che impongono che una lite culmini in un pronuncia irretrattabile ed immutabile. La Corte costituzionale con sentenza n. 302 del 2009 ha precisato che la res iudicata è immodificabile e gode dello status di principio costituzionale, trasversale ad ogni ordinamento processuale, in quanto articolazione indefettibile del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (v. anche Corte cost. 2 aprile 2009, n. 94; Corte cost. 21 febbraio 2008, n. 32; Corte cost. 27 luglio 2000, n. 374; Corte cost. 29 aprile 1982, n. 77). L’intangibilità del giudicato deriva dal principio del ne bis in idem il quale va inteso nel senso che con la cosa giudicata resta consumato il diritto di azione poiché, quanto in una determinata controversia sia intervenuta una sentenza definitiva, le parti perdono il potere di chiedere al giudice una nuova decisione e correlativamente il giudice perde il potere di emettere una nuova pronuncia (Cass. n. 2091 del 2004, Cass. n. 14537 del 2008).

 

Le sentenze tributarie trascorrono in giudicato, da un punto di vista formale, laddove siano decorsi i termini previsti dall’art. 51 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ai fini della proposizione dell’appello, del ricorso per cassazione, nonché della revocatoria ordinaria. La res iudicata formale legittima l’Amministrazione a compiere la riscossione a titolo definitivo, determinando la stabile acquisizione  del tributo da parte del Fisco, per l’altro, consente al contribuente, risultato vittorioso all’esito di una lite volta ad ottenere il rimborso, di dare corso al giudizio di ottemperanza ed all’esecuzione forzata. La res iudicata sostanziale determina l’effetto di stabilire in maniera incontestabile la spettanza del diritto fatto valere nel giudizio, ai sensi dell’art. 2909 c.c., il quale sancisce che “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

 

La Corte di Cassazione, in tema di ICI, ha precisato che il giudicato formatosi su alcune annualità fa stato con riferimento anche ad annualità diverse, in relazione a quei fatti che costituiscono elementi costitutivi della fattispecie, a carattere tendenzialmente permanente, ma non con riferimento ad elementi variabili: ne deriva che, il giudicato sulle modalità di esercizio di una determinata attività, che sono suscettibili di modificarsi nel tempo, non spiega effetti espansivi negli altri periodi di imposta (Cass. sez. 5, 15.3. 2019 n. 7417). In sostanza, in tema di ICI, la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità fa stato con riferimento ad annualità diverse, in relazione a quei fatti che appiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente, ma non con riferimento ad elementi variabili, come, ad esempio, il valore immobiliare ex art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992, che, per sua natura, con riferimento a diversi periodi di imposta, è destinato a modificasi nel tempo (Cass. n. 1300 del 2018).

Se gli atti impositivi sono adottati in violazione od elusione del giudicato sono nulli. L’Amministrazione finanziaria può incorrere in violazione ed elusione del giudicato, se omette di darvi attuazione o se adotta atti contrari al contenuto dispositivo della sentenza. Il giudicato impone un obbligo di esecuzione, che determina per il contribuente una posizione giuridica soggettiva di tipo pretensivo, sicchè il contribuente può opporsi a tutti gli atti che esprimono il rinnovo del potere impositivo basato sulle medesime ragioni poste a sostegno dell’atto annullato dalla Commissione Tributaria adita.

Secondo l’indirizzo prevalente lo strumento processuale attraverso il quale il soggetto passivo è messo in grado di lamentare la violazione o l’elusione del giudicato è costituito dalla proposizione del giudizio di ottemperanza. Il rito tributario consente al contribuente di richiedere al giudice la condanna dell’Amministrazione a dare esecuzione al giudicato, a mezzo del giudicio di ottemperanza, disciplinato dall’art. 70 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Pertanto, secondo un indirizzo, avverso gli atti di riscossione che violano la res iudicata, il contribuente può azionare il giudizio di ottemperanza, prescindendo dalla impugnazione della cartella e della relativa iscrizione a ruolo, risultando irrilevante la contestazione dell’atto innanzi alla Commissione Tributaria (Cass. n. 4126 del 2004). La Corte di Cassazione ha infatti affermato che il giudizio di ottemperanza ex art. 70 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546  “richiede una particolare attività del giudice, rivolta ad individuare il complessivo oggetto dell’ottemperanza per il ripristino dell’integrità della posizione del ricorrente, per poter realizzare non un’espropriaizone di beni propria dell’esecuzione ordinaria, ma la sostituzione coattiva dell’attività amministrativa che l’Ufficio avrebbe dovuto svolgere e non ha svolto, o ha svolto in maniera difforme dal giudicato” (Cass. n. 4126 del 2004). Ovviamente, in sede di giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle commissioni tributarie, il potere ermeneutico del giudice sul comando definitivo inevaso, che non può essere sindacato nel merito, va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita, col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attribuito un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (Cass.n. 22188 del 2004). E’ stato, infatti, stabilito che: “nel caso di giudicato, il quale, pronunciandosi in materia di esecuzione decennale parziale dall’IRPEG ex art. 105 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, si esaurisca nell’accoglimento del ricorso avverso il provvedimento di diniego del diritto all’esenzione, non è consentito al giudice dell’ottemperanza riconoscere, in mancanza di espressa statuizione in tal senso nella decisione cui dare attuazione, il diritto al rimborso di quanto già versato anche per gli anni antecedenti all’istanza di isenzione del contribuente, perché ciò comporterebbe la violazione dei limiti oggettivi del giudicato” (Cass. n. 28323 del 2015).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

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