ANCORA SETTE SENTENZE IN TEMA DI IMPOSIZIONE INDIRETTA DEL TRUST, CHE SEGNANO IL PUNTO DI ARRIVO DELLA S.C.
(di Licia Giannone)
La Corte di Cassazione è intervenuta, con una serie di pronunce, a mettere un punto fermo sulla questione dell’imposizione indiretta del trust, che negli ultimi anni aveva dato luogo ad un contrasto di giurisprudenza sorto all’interno della Quinta Sezione.
Con le sentenze del 21 giugno 2019, dal numero 16699 al 16705, infatti, si può considerare sopito il contrasto riguardante il momento impositivo per l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale e dell’imposta di donazione all’atto costitutivo e dispositivo di trust.
Sul punto la Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “la costituzione del vincolo di destinazione di cui all’art. 2 co. 47 d.l. 262/06, conv. in l. 286/06, non integra autonomo e sufficiente
presupposto di una nuova imposta, in aggiunta a quella di successione e di donazione;
per l’applicazione dell’imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale;
nel trust di cui alla l. 364/89, di ratifica ed esecuzione della Convenzione de l’Aja 1^ luglio 1985, un trasferimento così imponibile non è riscontrabile né nell’atto istitutivo né nell’atto di dotazione patrimoniale tra disponente e trustee – in quanto meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di destinazione – ma soltanto in quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo”.
Il giudice di legittimità, in primo luogo, si è preoccupato di precisare il significato da attribuire alla disposizione di cui all’art. 2, comma 47, del d.l. 262/21006, convertito in legge 286/2006, che sottopone all’imposta di donazione, oltre ai trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito, anche “la costituzione dei vincoli di destinazione”, nel cui “genere” è ricompresa la “specie” del trust.
Quest’ultima formula, in particolare, aveva dato luogo a contrastanti interpretazioni, dal momento che, secondo un primo orientamento, la norma in questione avrebbe sottoposto l’atto di costituzione del vincolo, in via diretta, ad autonoma imposta, senza la necessità di verificare la sussistenza, ai fini dell’imposizione proporzionale, del trasferimento di beni ad un beneficiario e di un correlato arricchimento di quest’ultimo (posizione inaugurata da una serie di ordinanze del 2015); un secondo orientamento, definito dalle pronunce in oggetto “la posizione di arrivo” della giurisprudenza della Corte (da ultimo, espresso dalla ordinanza n. 1131 del 2019) ha invece negato che dall’art. 2, co. 47 del d.l. 262/2006 potesse trarsi il fondamento normativo di un’autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo, in senso proprio, di beni e diritti.
Così, dopo aver ricostruito il contrasto di giurisprudenza che, a partire dal 2015, oscillava fondamentalmente tra queste due posizioni di fondo, viene ritenuta “più persuasiva” l’ultima soluzione, che, d’altronde, si era già andata gradualmente affermando quale dominante nelle pronunce più recenti, come pure rilevato nelle sentenze in esame.
Si ammette che l’inclusione tra gli atti di costituzione di vincoli di destinazione non sia bastevole a giustificare l’imposizione del trust in quanto tale, ostandovi principalmente considerazioni di natura costituzionale.
L’accento viene posto sul requisito della capacità contributiva: si ritiene che la tesi della “nuova imposta” gravante sul vincolo di destinazione, assunto quale autonomo e sufficiente presupposto, non dà adeguatamente conto del fatto che la sola apposizione del vincolo non comporta, di per sé, incremento patrimoniale significativo di un reale trasferimento di ricchezza.
Questa circostanza, secondo la Corte, mal si concilia con un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, in quanto non è ravvisabile, in un’imposizione così concepita, una forza economica e capacità contributiva ex art. 53 Cost.
Viene postulata, dunque, la necessità di interpretazione costituzionalmente orientata, richiamando sul punto la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale “la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza”.
Si osserva che in materia di imposizione indiretta del trust il suddetto indice di ricchezza non prende consistenza prima che il trust stesso abbia attuato la propria funzione.
Al fine di verificare la sussistenza di tale indice di ricchezza, la Corte adotta quale criterio quello dell’utilità patrimoniale conseguita dal beneficiario: infatti, si ammette che l’apposizione di un vincolo, in quanto tale, determini per il disponente l’utilità rappresentata dalla separazione dei beni in vista del conseguimento di un determinato risultato di ordine patrimoniale; ma tale utilità non concreta, di per sé, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al disponente e nemmeno al trustee (dal momento che essa si sostanzia solamente in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, transitoria, vincolata e strumentale), quanto soltanto – se e quando il trust abbia compimento – in capo al beneficiario finale.
Affinché l’imposizione proporzionale possa ritenersi legittima, l’utilità derivante dalla segregazione dei beni in trust deve sostanziarsi in un effettivo e definitivo incremento patrimoniale, cosa che invece non accade né in capo al disponente, né in capo al trustee all’atto della segregazione dei beni.
Sulla base di queste argomentazioni, viene escluso che la mera apposizione di un vincolo di destinazione sia suscettibile di determinare un effettivo incremento patrimoniale, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta di donazione all’atto costitutivo del trust: si esclude che tanto l’atto istitutivo di trust, quanto gli atti di dotazione del medesimo siano assoggettabili all’imposta di donazione, mancando gli elementi costitutivi di quest’ultima, rappresentati sia dalla liberalità sia dal concreto arricchimento mediante effettivo trasferimento di beni e diritti.
La Corte respinge anche il tentativo dell’Agenzia delle Entrate di ricavare l’imposizione proporzionale al trust dalla disposizione di cui all’art. 6 della legge 112/2016, che esonera dall’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni i beni e diritti conferiti in trust a favore di persone con disabilità grave, sulla base dell’argomento per cui quando il legislatore ha inteso esentare da imposta di successione e donazione il trust, lo avrebbe fatto espressamente, così come accade nella norma sopra citata.
Secondo la Corte, invece, i presupposti di un’imposta non potrebbero essere determinati con argomento a contrario, ma dovrebbero essere ricavati in via diretta, certa e tassativa.
Dunque, dopo aver chiarito l’equivoco che era venuto a crearsi sulla previsione dell’art. 2, comma 47 del d.l. 262/2006, viene individuato il “presupposto” che, solo, è suscettibile di dar luogo all’imposizione al trust.
Ma l’individuazione del presupposto non basta: occorre anche fare chiarezza sull’esatto momento in cui esso si realizza, in cui sarà possibile applicare l’imposta proporzionale.
A tal fine, viene operato un distinguo tra le varie vicende del trust, e in particolare tra atto istitutivo, atto di dotazione o provvista dei beni, e atto di trasferimento finale al beneficiario.
In proposito, viene affermata la “fiscale neutralità” dell’atto istitutivo e di dotazione del trust, atteso il loro carattere strumentale, dal momento che con essi si realizza solo l’effetto tipico del trust – quello di segregazione – che in ogni caso non equivale a trasferimento né ad arricchimento attuale: tali ultimi effetti, si realizzeranno solo a favore dei beneficiari, i quali saranno chiamati al pagamento dell’imposta in misura proporzionale (conformemente a quanto ritenuto già da Cass. n. 21614/2016).
Tale soluzione deve ritenersi applicabile tanto all’imposta di registro, la quale non sarà applicabile in misura proporzionale all’atto costitutivo di trust liberale, in quanto non in grado di esprimere la capacità contributiva del trustee (nello stesso senso, Cass. n. 25478/2015), quanto all’imposta ipotecaria e catastale, la quale non sarà applicabile sui trasferimenti immobiliari di dotazione del trust, mancando, anche in tali casi, un effetto traslativo “reale”, intendendosi come tale un trasferimento stabile, definitivo e senza limitazioni di esercizio e di godimento (così anche Cass. n. 25478/2015 cit.), caratteristiche assolutamente mancanti nel caso del trust.
Dunque, sempre riprendendo la precedente giurisprudenza della V Sezione, si richiama l’orientamento secondo il quale il trasferimento del bene dal settlor al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo a custodirlo ed amministrarlo in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust.
Conseguentemente, tale atto sarà tassabile in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta di registro, che alle imposte ipotecaria e catastale (in questi termini anche Cass. n. 975/2018).
Un ulteriore pregio delle sentenze esaminate consiste nell’aver elaborato una soluzione comune per tutte le tipologie di trust, che abbia riguardo al momento negoziale del trust sottoposto a tassazione per la determinazione dell’imposta applicabile.
Precedentemente, infatti, in materia di trattamento fiscale del trust, diverse pronunce della Cassazione avevano prospettato soluzioni diverse a seconda del tipo di trust che veniva in considerazione nelle varie fattispecie, e in particolare, l’attenzione era stata posta sulla natura traslativa o meno dell’atto, e sulla individuazione definitiva dei beneficiari.
Invece, riagganciandosi con la soluzione elaborata dall’ordinanza n. 1131/2019, si giunge ad una conclusione che è destinata a trovare applicazione a tutte le diverse forme di manifestazione dell’istituto: si stabilisce che “in ogni tipologia di trust l’imposta proporzionale non andrà anticipata né all’atto istitutivo né a quello di dotazione, bensì riferita a quello di sua attuazione e compimento mediante trasferimento finale del bene al beneficiario”.
Secondo la Corte, tale conclusione riconduce ad unità quegli indirizzi che mantenevano una distinzione di soluzioni in relazione a fattispecie di trust reputate peculiari e divergenti dal paradigma convenzionale.
In particolare, si fa riferimento ai casi in cui il beneficiario risulti già individuato nell’atto istitutivo del trust, nel qual caso, secondo i precedenti indirizzi, denotandosi sin da subito la sussistenza nel disponente della volontà di trasferire a questi il bene in dotazione, avrebbe dovuto applicarsi immediatamente l’imposta proporzionale (come ritenuto da Cass. n. 31445/2018): la Sezione, questa volta, non avalla tale soluzione, ritenendo che l’individuazione del beneficiario nell’atto istitutivo non comporta di per sé necessaria derivazione dal tipo negoziale del trust e, comunque, non giustifica l’immediata tassazione proporzionale, dal momento che la sola designazione “non equivale in alcun modo a trasferimento immediato e definitivo del bene”.
Conseguentemente, anche tale fattispecie viene fatta rientrare nel “sistema di imposizione proporzionale eventuale e differita”.
Altra ipotesi richiamata, per la quale era stato elaborato un regime specifico, concerne il trust liquidatorio solvendi causa, finalizzato alla liquidazione di beni nell’interesse dei creditori: in tal caso, era stata individuato un effetto traslativo immediato nella volontà del disponente di attribuire all’attuatore la proprietà dei beni, ritenendo il vincolo di destinazione idoneo a produrre un simile effetto a favore del trustee, e in quanto tale assoggettabile a imposta sulle successioni e donazioni, facendo emergere la potenziale capacità economica del destinatario del trasferimento (così Cass. n. 13626/2018).
Neanche tale conclusione viene accolta dalle ultime pronunce: infatti, se da un lato non si mette in dubbio, in tale fattispecie, l’effettività del trasferimento al trustee dei beni da liquidare, dall’altro si riconosce che tale trasferimento costituisce un mero veicolo tanto dell’effetto di segregazione quanto di quello di destinazione, e, per questa ragione, anche qui e in ogni caso sarà necessario individuare e tassare gli atti traslativi propriamente detti (ovvero quelli di liquidazione del patrimonio immobiliare in dotazione al trust).
Attraverso tali argomentazioni, dunque, viene ricondotto ad unità tutto l’aspetto dell’imposizione del trust, tramite l’individuazione di due passaggi fondamentali: l’individuazione del presupposto che può dar luogo ad imposizione, che deve consistere necessariamente in un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non strumentale, unica circostanza idonea ad esprimere capacità contributiva, in ossequio ai principi costituzionali; l’individuazione del momento negoziale tassabile, che non può che essere l’atto (eventuale) di attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust.