IL GIUDICATO ESTERNO E GLI EFFETTI DELLA PRONUNCIA PREGIUDIALE CONNESSA (di Francesca Cruciani)
Gli Ermellini, con la sentenza n.13152, depositata in data 16.05.2019 (udienza del 26.03.2019), confermano il principio degli effetti sostanziali del passaggio in giudicato di una precedente sentenza relativamente al thema decidendum trattato in successiva controversia e dei relativi effetti preclusivi, rispetto alla primigenia causa, sia in caso di pregressa pronuncia incidenter tantum, sia in riferimento ad un rapporto di pregiudizialità in senso stretto stante la coincidenza soggettiva delle parti in causa.
Vale premettere che per “giudicato” ovvero “cosa giudicata” intendiamo gli effetti prodotti dalla sentenza emessa dal giudice quando essa diviene irrevocabile in ragione della mancata spiegata opposizione.
Il concetto d’irrevocabilità è dunque associato all’impossibilità di sottoporre un provvedimento giurisdizionale a riesame e quindi ad impugnazione, salvo mezzi straordinari.
In riferimento poi agli effetti preclusivi/limiti di estensione del giudicato, la dottrina è solita differenziare il giudicato “sostanziale” da quello “formale”.
Il giudicato sostanziale, a differenza di quello formale, si riferisce alla situazione sostanziale protetta che è stata l’oggetto del processo.
E’ altresì ulteriormente necessario distinguere il giudicato interno da quello esterno; si definisce pertanto “giudicato interno” quello formatosi nello stesso processo, mentre è definito “giudicato esterno” quello formatosi in un processo diverso.
L’ultima distinzione segnalata assume particolare importanza ai fini della rilevabilità d’ufficio ovvero ad istanza di parte circa il passaggio in giudicato della questione precedentemente trattata nella causa successiva.
Per lungo tempo, la giurisprudenza ha affermato che solo il giudicato interno può essere rilevato d’ufficio, mentre il giudicato esterno poteva essere un’eccezione rilevabile solo dalla parte.
Il successivo cambio di orientamento della Corte di Cassazione considera rilevabile d’ufficio anche il giudicato esterno (cfr. per tutte Cass., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24644).
La valenza del giudicato esterno – id est la tematica oggetto del principio statuito dalla sentenza in commento – implica la valutazione se la sentenza di merito pronunciata in un primo processo, sia vincolante o meno per il giudice di un eventuale secondo processo.
Vale premettere che, in senso tecnico, è’ dato rilevare un rapporto di pregiudizialità, quando un diritto entra a far parte della fattispecie costituiva di un altro diritto.
In altri termini, quando il diritto pregiudiziale è elemento necessario ma non sufficiente per la costituzione del diritto dipendente, la sentenza di merito pronunciata nel primo processo, ed avente ad oggetto il diritto pregiudiziale stesso, sarà assolutamente vincolante per il giudice del secondo processo.
Quanto sopra, risponde al dettame di cui all’art. 2909 c.c. a mente del quale “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato [324 c.p.c.] fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa ”
Quando il rapporto di dipendenza, invece, è del tutto speculare rispetto al primo e cioè quando oggetto del primo processo è il diritto dipendente, e nel primo giudizio è stata eseguita una mera e semplice cognizione – c.d. incidenter tantum – sul diritto pregiudiziale, come nel caso di specie in commento, l’art. 2909 c.c. trova applicazione qualora la domanda di parte richieda – ovvero una previsione di legge stabilisca – un accertamento incidentale (art. 34 c.p.c.) sul diritto pregiudiziale trattato nel primo processo.
Nella circostanza indicata, si realizza l’ipotesi del processo cumulato (cumulo oggettivo) che porrà dinanzi al giudice del diritto dipendente, il dovere di pronunciarsi in merito anche alla situazione pregiudiziale; per questa via potrà operare l’art. 2909 c.c. – e dunque il giudice del secondo processo sarà vincolato alla statuizione del primo processo – anche in caso di pronuncia “incidenter tantum” in seno alla prima controversia.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, segue il consolidato orientamento di legittimità (cfr. Cass. sez. 1, 20 luglio 1995, n. 7891; Cass. SU 16 giugno 2006, n. 13916, prima parte della relativa massima in parte qua; Cass. sez. 5, 29 luglio 2011, n. 16675) laddove rilevata la coincidenza soggettiva e cioè l’identità di parti nel giudizio deciso dalla pronuncia della CTP di Roma con sentenza n. 68/19/2005 ed il giudizio definito con la sentenza CTR n. 815/10/2014, ribadisce che “Quando due giudizi abbiano ad oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato precludono l’esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio ha delle finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il petitum del primo”
In ossequio al principio anzidetto, il Giudice di legittimità accoglieva il ricorso proposto dal contribuente VR, cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e cioè la sollevata violazione dell’art. 2909 cc e dell’art. 324 cpc.
Gli Ermellini inoltre decidevano nel merito la questione perché “L’esclusione, nel giudizio deciso con la succitata pronuncia della CTP n. 68/19/2005, della natura edificabile del terreno, oggetto dello stesso atto di compravendita assunto invece nel presente giudizio come fonte della plusvalenza non dichiarata ai fini dell’IRPEF ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, […], ha costituito oggetto di diretto accertamento da parte del primo giudice, acquisendo natura di giudicato per effetto della mancata impugnazione di detta sentenza, ponendosi quindi con effetto preclusivo del riesame nel presente giudizio della natura edificabile viceversa invocata dall’Ufficio a sostegno della legittimità dell’atto impositivo, con il quale si è contestata al contribuente la plusvalenza non dichiarata ai fini IRPEF […].”