CONTENZIOSO TRIBUTARIO
1.RADDOPPIO DEL CONTRIBUTO UNIFICATO APPLICABILITA’ AL PROCESSO TRIBUTARIO
La questione riguarda l’applicabilità del raddoppio del contributo unificato, ex art. 13, comma 1, quater, d.P.R., n. 115 del 2002, nel processo tributario di merito. Secondo un indirizzo della Corte di Cassazione, l’istituto è applicabile anche al processo tributario (Cass. 6-5 n. 17215 del 2 luglio 2018). Un altro orientamento, invece, ritiene che l’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, la condanna al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nell’ipotesi di declaratoria di infondatezza o inammissibilità dell’impugnazione, non trova applicazione nei giudizi tributari, ciò in quanto la Corte costituzionale, con sentenza n. 18 del 2018, ha qualificato la misura come “eccezionale di carattere sanzionatorio”, la cui operatività deve, pertanto, essere circoscritta al processo civile (Cass. 6-5, n. 15111 del 11 giugno 2018; Cass. n. 20018 del 27 luglio 2018). Ne consegue che l’operatività della disposizione sarebbe limitata al solo giudizio di Cassazione, stante la natura di ordinario processo civile, disciplinato dalle norme del codice di rito, avente ad oggetto l’impugnazione di pronuncia resa da Commissione Tributaria Regionale, come ribadito dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 8053 del 2014.
2.DOVERE DEL GIUDICE DI DARE ATTO DEI PRESUPPOSTI DEL RADDOPPIO DEL CONTRIBUTO UNIFICATO.
L’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato. La norma dispone: “ Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1- bis”.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26907 del 24 ottobre 2018, ha stabilito che l’art. 13 comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui prevede che: “Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo del pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”, deve essere interpretata in modo ragionevole e tenendo conto che è estranea all’ambito della giurisdizione civile ordinaria la cognizione della debenza del c.d.contributo unificato, come costo che si deve sopportare o non si deve sopportare per il funzionamento della macchina giudiziaria, cioè il c.d. Servizio Giustizia: “ Ne segue che la prescrizione dettata dalla norma deve essere letta, quando si riferisce al dovere di attestazione dei presupposti di cui al periodo precedente, non già nel senso che il giudice deve dichiarare oltre alla ricorrenza di un caso di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, anche se la parte, in dipendenza di tale esito, sia in concreto tenuta oppure non al versamento del contributo. Tale accertamento, come, del resto, fa manifesto il successivo art. 15 del d.P.R. spetta all’amministrazione giudiziaria e, quindi, al funzionario di cancelleria ed è in relazione all’agire dell’amministrazione che rileva l’esistenza di eventuali condizioni di esenzione dall’obbligo tributario, come quelle indicate nell’art. 10 oppure dall’esistenza della c.d.prenotazione a debito per l’ammissione della parte nel giudizio concluso dall’impugnazione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. o per essere la parte un’amministrazione pubblica….. Ne segue che ciò che al giudice la norma dell’art. 13 quater richiede è solo l’attestazione dell’avere adottato una decisione incasellabile o come pronuncia di inammissibilità o improcedibilità o come di “respingimento integrale”.